Da vittima a carnefice

di Leonardo Marta

Porton Down appariva incredibilmente calma, in quella sera d’estate. Il bel tempo faceva da padrone su tutta la pianura di Salisbury, regalando un cielo terso e stellato a chiunque fosse stato abbastanza ingenuo e sognatore, in pieno tempo di guerra, da alzare lo sguardo per cercare una stella cadente o una costellazione, invece che un aereo in fiamme o un paracadute che si apriva spettrale nella notte. 

Ma nel centro di ricerca di Porton Down nessuno si curava di quelle sciocchezze romantiche, se non altro perché tutti erano già nelle loro brande dopo una dura giornata di lavoro. Le sentinelle di guardia erano le uniche persone, apparentemente, ad essere sveglie nel complesso. Apparentemente.

Un occhio più attento, nel buio della notte avrebbe potuto scorgere, dentro una stanza con le finestre socchiuse, due persone sedere silenziose, sorseggiando del . Il più giovane dei due, improvvisamente, prese la parola e domandò: “Dottore, è giusto quello che stiamo facendo?”. L’altro scostò la tazza dalle labbra e rispose: “In merito a cosa?”.

L’assistente riprese: “Questa storia dell’antrace… Voglio dire, se davvero sganciassimo tutto quell’antrace sulla Germania…” 

“Ebbene?” Lo stimolò Fildes. 

“…morirebbero milioni di tedeschi. In pochi mesi.” 

Dopo un attimo di silenzio, Fildes annuì e, interrogando l’altro, aggiunse: “La cosa la turba?”

“Sì, dottore. Sa che io sarei disposto a tutto, o quasi, per sconfiggere il nazismo, ma devastare così una nazione, per le generazioni a venire… mi sembra sbagliato. Ha visto cosa è successo all’isola di Gruinard? Vuole lo stesso anche in Germania?”

“Ha forse dimenticato quello che è successo a Londra e Coventry? Non le basta ciò che i tedeschi continuano a fare al resto d’Europa? Devono essere puniti, a qualunque costo.”

L’assistente si fece coraggio, pronto a scagliare parole affilate che forse il dottore non avrebbe potuto perdonargli: “Dottore, io la rispetto, ma questo ragionamento ci fa somigliare ai nazisti che noi tanto odiamo. Anche loro credono che gli ebrei meritino di essere puniti collettivamente per le loro colpe, i loro crimini e complotti… Non voglio che i posteri debbano ricordare me né lei, a cui mi sono affezionato facendole da assistente, per questa terribile colpa. Soprattutto, non voglio che la patria che amo, si abbassi al livello dei suoi empi nemici.

Fildes lo osservò indignato ed aggiunse: “Noi non potremo mai essere come loro, per quanto atroci possano essere le nostre azioni, loro, e solo loro, sono responsabili di questo spaventoso conflitto. E questi non sono deliri infondati come quelli di Hitler o di Goebbels sugli ebrei. È un dato di fatto che i tedeschi abbiano gettato il mondo nella rovina e nella distruzione. Aggressore e aggredito non potranno mai essere messi sullo stesso piano.” 

L’assistente, ormai scoraggiato, giocò la sua ultima carta: “Dottore, lei ha pensato al fatto che sganciando tutto quell’antrace sulla Germania il contagio potrebbe estendersi anche alle nazioni limitrofe? Non vorrà certo che di questa operazione risenta anche il resto d’Europa!” 

Fildes, questa volta, esitò per un po’. Infine, disse che sarebbe stata certamente una possibilità, ma se la Royal Air Force avesse sganciato le spore di antrace dove gli era stato detto, cosa che avrebbe sicuramente fatto, l’epidemia non avrebbe superato i confini della Germania..

L’assistente, ormai rassegnato, rifletté tra sé: Fildes e con lui buona parte dei ranghi delle istituzioni britanniche, erano convinti. Non gli restava che alzarsi, sconfitto, e scusarsi col dottore del tempo che gli aveva fatto perdere.

“Non si preoccupi- disse in tono più bonario Fildes – finisca il suo tè.” 

L’assistente ingurgitò rapidamente il contenuto della sua tazza e uscì augurando la buona notte a Fildes. 

Il dottore, ancora sorseggiando il suo tè, borbottò qualcosa sulla guerra, sui suoi disastri e sulle decisioni che lo costringeva a prendere. 

Come ad animare quella notte così placida e tranquilla, un bagliore si palesò per un attimo tra le imposte nel cielo notturno, forte, luminoso e veloce ed il dottor Fildes si alzò sorpreso, per andare a vedere cosa fosse. Chiunque conoscesse quell’uomo per la prima volta era sorpreso dal suo essere rigoroso e calcolatore. Fece una stima ed ipotizzò che il bagliore fosse provenuto da circa trenta chilometri a sud-est, verso Winchester. Con pari certezza e precisione, asserì che si trattasse di un aereo che cadeva abbattuto: a quel punto si limitò a sperare che si trattasse di un velivolo nemico, e che la Royal Air Force riuscisse ad abbatterne altri. 

Ma il rigoroso dottore non era l’unico ad aver notato quella luce: anche il suo assistente, percorrendo mesto i corridoi spogli di Porton Down, fu colpito da quel bagliore improvviso. Sospirando, immaginò potesse trattarsi di una stella cadente e si domandò se qualcuno, come lui, fosse riuscito a godersi uno spettacolo del genere, nonostante tutto il carico di morte, dolore e sofferenza arrecato dalla guerra. Sperò in cuor suo che potesse esserci ancora qualcuno, non completamente consumato dall’odio, in grado di apprezzare il bello e  la vita, ammirando una stella cadente in un cielo terso d’estate. Si augurò che ci fosse ancora qualcuno a non essere diventato come Fildes.

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