Un lume di speranza nel futuro incerto

C’eravamo tanto amati. Tre uomini dal passato tormentato percorrono le strade di Roma, rincorrendo una donna. Nel vorticoso triangolo tratteggiato da Scola, chi brilla di luce propria non ha bisogno di essere illuminato. Così, lo Spettatore rivolge la sua attenzione a colei che, al di fuori della narrazione principale, pervade di aura purissima l’intera pellicola: Elide, lume di speranza in un futuro incerto, vacuo ed ipocrita. Giovane donna della piccola borghesia romana, è cresciuta sperimentando gli agi che il padre, impresario spietato e corrotto, le ha garantito.

Nel fiore della sua prima età adulta, d’improvviso, un fulmine la travolge: è Gianni. Lui è luce ai suoi occhi, vestito di un’armatura di cultura e fascino. Le certezze della donna iniziano a vacillare, mentre scorge che vi possa essere dell’altro oltre i confini che, pur luccicanti, formano la sua gabbia. Elide desidera cogliere il frutto della cultura per rendersi migliore, interessante e piacente agli occhi di lui, uomo bellissimo, idealista, saggio. Lui si mostra gentile ed accorto e la donna è ben presto divenuta sua. Ma di frequente, la vita non ha finali alla Frank Capra.

Nell’immortale dialogo con le corinzie, Medea sostiene che spesso le donne, sposandosi, siano condannate all’infelicità del passare da un padrone all’altro. Allo stesso modo Eliduccia, come la chiama Gianni, inizia a costruire la sua nuova prigione, un mattone alla volta. Appare inadatta ed imperfetta, mentre confonde carboidrati per idrocarburi, commette errori e sottolinea la complessità del leggere «I tre moschettieri». La donna diviene un turbine in continua evoluzione, sottoponendosi a cambiamenti costanti, mossa da un insaziabile bisogno di essere amata. È fiamma flebile ed insicura, mentre si tiene disperatamente ancorata al più piccolo e vacillante barlume di interesse, che intravede in Gianni. Non mette mai in discussione i moniti e le correzioni del suo Giasone, uniformandosi alle sue aspettative e forzando l’ingresso in un mondo che le è distante, solo per sentirsi più vicina a lui. Elide, già splendida ed ora incantevole, continua ad inseguire lo spettro che, al contrario, dovrebbe accompagnarla. Ma lei è molto di più: impossibile ridurla all’immagine di una donna sofferente, condannata all’infelicità coniugale.

Negli stessi occhi tristi che scrutano l’ambiente circostante, possono specchiarsi generazioni di donne e uomini che hanno dissipato i propri giorni, tentando di essere amati da persone tutt’altro che adatte nel farlo. Questo brillante personaggio ci ricorda che i buoni, in amore, non vincono perché, nella loro purezza, non sono interessati a vincere. La trama diviene tortuosa ed il susseguirsi di personaggi, incontri e colpi di scena accompagna il nostro viaggio, fino a condurci ad un’epifania. Finalmente è chiaro: l’autentica bellezza di Elide non è quella che Gianni cerca di costruire. Sin dall’inizio, lei è straordinariamente poetica, profonda, capace di amare senza confini. Di più: è un personaggio che diviene sempre più cosciente di sé.
A poco a poco, il castello di carte che ha faticosamente edificato, emerge nella sua fragilità, mentre prende consapevolezza della sua amara condizione. La donna compie l’ultimo tentativo di essere considerata da Gianni, rivolgendogli una confessione compromettente, che fallisce. Come d’abitudine, ha davanti un imperterrito spettatore della tragicità che la attraversa.
Elide si fa Medea, completamente conscia di non essere mai stata nei pensieri di Giasone. I suoi gesti si fanno repentini ed è furia veloce per strade strette, mentre un vortice di risentimento e sofferenza la attraversa. Non è mai stata nulla di più di un contenitore da plasmare, riempire e adornare, ma mai da amare. Ogni anno, ogni istante, speso ad annichilire la propria persona.
Nelle sue intenzioni, non c’è quella di forzare la sua mancanza in lui: Elide vuole rivendicare sé stessa.

L’essenza del suo personaggio emerge dalle ultime parole scambiate con Gianni. Il dialogo è veloce, lancinante, penetrante. La donna chiede, quasi a cercare di legittimare il proprio dolore, se finalmente sia divenuta importante per l’uomo. Non lo è. Non lo è mai stata, figurarsi se lo sia ora. La risposta è lama lacerante, ma in una ferita che ha smesso di sanguinare: ne era già consapevole quando, immersa nella sua solitudine, dichiarava di percepire maggiore calore dagli oggetti, che dalle persone. Elide fa saettare un ultimo, stanco, dardo dal suo arco: Gianni non è stato importante per nessuno, all’infuori di lei. Ipocrita, opportunista, ed egoista, l’uomo ha subito una degenerazione progressiva, fino a rivelarsi nel suo essere crudele e mostruoso. Quanto di bello c’era in lui, non era altro che una proiezione che lei stessa aveva generato. Elide, luce fulgida ed incessante. Elide, acqua purissima ed amore smisurato.

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